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      E che sicurtà avere che nella propria patria, piena di innumerabile moltitudine, non si suscitasse, parte per la cupidità del rubare parte per l'odio contro a' gentiluomini, qualche pericoloso tumulto? Già (quel che è l'estremo grado della timidità) reputavano certissimi tutti i casi avversi i quali si rappresentavano alla immaginazione propria che potessino succedere; e nondimeno, raccolto in tanto timore il meglio potevano l'animo, deliberorno di fare estrema diligenza di riconciliarsi per qualunque modo col pontefice col re de' romani e col re cattolico, senza pensiero alcuno di mitigare l'animo del re di Francia, perché, dell'odio suo contro a loro non manco diffidavano che e' temessino delle sue armi: né posti perciò da parte i pensieri di difendersi, attendendo a fare provisione di danari, ordinavano di soldare nuova gente per terra e, temendo della armata che si diceva prepararsi a Genova, accrescere insino in cinquanta galee l'armata loro, della quale era capitano Angelo Trevisano.
      Ma preveniva tutti i consigli loro la celerità del re di Francia, al quale dopo l'acquisto di Brescia si era arrenduta la città di Cremona, ritenendosi ancora per i viniziani la fortezza; la quale benché fortissima arebbe seguitato l'esempio degli altri (avendo massime, ne' medesimi dí, fatto il medesimo la fortezza di Pizichitone)..., se il re avesse consentito che tutti ne uscissino salvi; ma essendovisi ridotti dentro molti gentiluomini viniziani, e tra gli altri Zacheria Contareno ricchissimo uomo, negava di accettarla se non con patto che questi venissino in sua potestà. Però mandatevi genti a tenerla assediata, ed essendosi le genti viniziane, che continuamente diminuivano, fermate nel Campomarzio appresso a Verona perché i veronesi non avevano voluto riceverle dentro, il re camminò innanzi a Peschiera per acquistare la fortezza, essendosi già arrenduta la terra; la quale come ebbeno cominciata a battere con l'artiglierie, vi entrorono per piccole rotture di muro con impeto grandissimo i fanti svizzeri e guasconi, ammazzando i fanti che in numero circa quattrocento vi erano dentro; e il capitano della fortezza che era medesimamente capitano della terra, gentiluomo viniziano, fatto prigione, fu per comandamento del re insieme col figliuolo a' merli medesimi impiccato: inducendosi il re a questa crudeltà acciò che quegli che erano nella fortezza di Cremona, spaventati per questo supplicio, non si difendessino insino all'ultima ostinazione.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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