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      Lasciò nondimeno a' confini del veronese, sotto la Palissa, settecento lancie perché seguissino la volontà di Cesare; cosí per la conservazione delle cose acquistate come per ottenere quel che ancora possedevano i viniziani: per la andata de' quali a Vicenza, secondo il comandamento che ebbono da Cesare, si assicurò la città di Verona, la quale per il piccolo presidio che vi era dentro stava con non mediocre sospetto; e l'esercito de' viniziani che era andato a campo a Cittadella se ne partí.
      Succedette innanzi alla partita del re un altro accidente favorevole a' viniziani, perché correndo continuamente i cavalli loro, che erano in Lignago, per tutto il paese e insino in sulle porte di Verona e facendo danni grandissimi, a' quali le genti che erano in Verona, per non vi essere piú di dugento cavalli e settecento fanti, non potevano resistere, il vescovo di Trento governatore per Cesare in quella città, deliberando porvi il campo, chiamò il marchese di Mantova; il quale, per aspettare le preparazioni che si facevano, fermatosi, con la compagnia de' cavalli che aveva dal re, all'Isola della Scala, casale grande in veronese non circondato di mura né di alcuna fortificazione, mentre sta quivi senza sospetto, fu esempio notabile a tutti i capitani quanto in ogni luogo e in ogni tempo debbino stare vigilanti e ordinati, e in modo possino confidarsi delle forze proprie, non si assicurando né per la lontananza né per la debolezza degli inimici. Perché essendosi il marchese convenuto con alcuni stradiotti dell'esercito de' viniziani che venissino a trovarlo in quel luogo per fermarsi agli stipendi suoi, e avendo essi, insino dal principio che furno ricercati da lui, manifestata la cosa a' loro capitani, e però essendosi dato ordine con questa occasione di assalirlo all'improviso, Luzio Malvezzo con dugento cavalli leggieri e il Zitolo da Perugia con ottocento fanti, venuti occultamente da Padova a Lignago e unitisi con le genti che erano a Lignago e con mille cinquecento de' contadini del paese, e mandati innanzi alcuni cavalli che con spesse voci gridassino Turco (era questo il cognome del marchese) per fare credere che fussino gli stradiotti aspettati, si condussono non sospettando alcuno, la mattina destinata in sul fare del dí all'Isola della Scala; ove entrati senza resistenza, trovando senza guardia alcuna tutti i soldati e gli altri che servivano e seguitavano il marchese a dormire, gli messono in preda, ove tra gli altri rimase prigione Boisí luogotenente del marchese nipote del cardinale di Roano; e il marchese, sentito il romore, essendo fuggito quasi ignudo per una finestra e occultatosi in un campo di saggina, fu manifestato agli inimici da uno contadino del luogo medesimo, il quale, anteponendo il comodo de viniziani alla propria utilità, secondo l'ardore comune degli altri del paese, mentre che simulatamente, udite l'offerte grandissime che 'l marchese gli faceva, dimostrava di attendere a salvarlo, fece il contrario: onde menato a Padova e poi a Vinegia, fu con allegrezza inestimabile di tutta la città incarcerato nella torretta del palagio publico.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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