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      Queste erano le cagioni apparenti degli sdegni suoi: ma per quello che si manifestò poi de' suoi pensieri, avendo nell'animo piú alti fini, desiderava ardentissimamente, o per cupidità di gloria o per occulto odio contro al re di Francia o per desiderio della libertà de' genovesi, che 'l re perdesse quel che possedeva in Italia; non cessando di lamentarsi senza rispetto di lui e del cardinale, ma in modo che e' pareva che la sua mala sodisfazione procedesse principalmente da timore. E nondimeno, come era di natura invitto e feroce, e che alla disposizione dell'animo accompagnava il piú delle volte le dimostrazioni estrinseche, ancora che s'avesse proposto nella mente fine di tanto momento e tanto difficile a conseguire, rifidandosi in sé solo e nella riverenza e autorità che conosceva avere appresso a' príncipi la sedia apostolica, non dependente né congiunto con alcuno anzi dimostrando con le parole e con le opere di tenere poco conto di ciascuno, né si congiugneva con Cesare né si ristrigneva col re cattolico, ma salvatico con tutti non dimostrava inclinazione se non a' viniziani; confermandosi ogni dí piú nella volontà di assolvergli, perché giudicava il non gli lasciare perire essere molto a proposito della salute di Italia e della sicurtà e grandezza sua. Alla quale cosa molto efficacemente contradicevano gli oratori di Cesare e del re di Francia; concorrendo con loro in publico al medesimo l'oratore del re d'Aragona, benché, temendo per l'interesse del regno di Napoli della grandezza del re di Francia né confidandosi in Cesare per la sua instabilità procurasse occultissimamente il contrario col pontefice.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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