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      Attoniti per sí atroce risposta i vicentini, poiché per alquanto spazio furono stati immobili, come privi di tutti i sentimenti, cominciorno di nuovo con lagrime e con lamenti a raccomandarsi alla misericordia del vincitore; ma essendo ribattuti dal medesimo dottore, che gli riprese con parole piú inumane e piú barbare che le prime, non sapevano né che rispondere né che pensare. Se non che Ciamonte gli confortò che ubbidissino alla necessità, e col rimettersi liberamente nello arbitrio del principe cercassino di placare la sua indegnazione: la mansuetudine di Cesare essere grandissima, né doversi credere che il principe, nobile di sangue ed eccellente capitano, avesse a fare cosa indegna della sua nobiltà e della sua virtú: né dovergli spaventare l'acerbità della risposta, anzi essere da desiderare che gli animi generosi e nobili si traportino con le parole, perché spesso, avendo sfogato parte dello sdegno in questo modo, alleggieriscono l'asprezza de' fatti: offersesi intercessore a mitigare l'ira del principe, ma che essi prevenissino col rimettersi in lui liberamente. Il consiglio del quale e la necessità seguitando i vicentini, distesisi in terra, rimesseno assolutamente sé e la loro città alla potestà del vincitore. Le parole de' quali ripigliando Ciamonte, confortò il principe che nel punirgli avesse piú rispetto alla grandezza e alla fama di Cesare che al delitto loro; né facesse esempio, agli altri che fussino caduti o per potere cadere in simili errori, tale che, disperata la misericordia, avessino a perseverare insino all'ultima ostinazione.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





Ciamonte Cesare Ciamonte Cesare