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      Aveano i fiorentini messi in Prato circa dumila fanti, quasi tutti dell'ordinanze loro, gli altri raccolti in fretta d'ogni arte ed esercizi vili, pochissimi in tanto numero esperimentati alla guerra; e con cento uomini d'arme Luca Savello, condottiere vecchio ma che né per l'età né per l'esperienza era pervenuto a grado alcuno di scienza militare; e gli uomini d'arme, quegli medesimi che erano stati poco innanzi svaligiati in Lombardia. Aggiugnevasi che, per la brevità del tempo e per la imperizia di chi aveva avuto a provederlo, vi era piccola quantità di artiglierie, scarsità di munizioni e di tutte le cose necessarie alla difesa. Col viceré erano [dugento] uomini d'arme e [cinque] mila fanti spagnuoli e solamente [due] cannoni, esercito piccolo in quanto al numero e agli altri apparati ma grande in quanto al valore; perché i fanti erano tutti di quegli medesimi che con tanta laude si erano salvati della giornata di Ravenna, i quali come uomini militari, confidandosi molto nella loro virtú, dispregiavano sommamente la imperizia degli avversari: ma essendo venuti senza apparecchiamento di vettovaglie, né trovandone copioso il paese (perché, con tutto che a fatica fusse finita la ricolta, erano state condotte a' luoghi muniti), cominciorno subito a sentirne il mancamento. Dalla qual cosa spaventato il viceré inclinava alla concordia, che continuamente si trattava: che i fiorentini, consentendo che i Medici ritornassino eguali agli altri cittadini, né si parlando piú della deposizione del gonfaloniere, pagassino al viceré perché partisse del dominio fiorentino certa quantità di danari; la quale si pensava non passasse trentamila ducati.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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