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      Ma del viceré erano incerti i consigli, varie e occulte le parole: perché ora offeriva al pontefice di opporsi a' franzesi, discendendo egli medesimamente apertamente nella causa, mandando a unirsi con lui le sue genti e pagando per tre mesi quantità non piccola di fanti; e perché piú facilmente si credesse, chiamati i suoi soldati del parmigiano e del reggiano, si era fermato con l'esercito in sul fiume della Trebbia, ed essendo ancora alcuni de' suoi soldati alla guardia di Tortona e di Alessandria, i quali mai non avea mossi; ora affermava avere ricevuto comandamento del suo re, nel tempo medesimo che gli significò l'avere fatta la tregua, di ridurre l'esercito nel reame di Napoli. Altrimenti parlava Ieronimo Vich oratore appresso al pontefice, confermandosi in questo con quello che prometteva il suo re: che pigliando il pontefice la difesa di Milano, egli, non avendo rispetto alla tregua fatta, romperebbe la guerra in Francia; il che diceva essergli lecito senza violare la fede data. Perciò molti credettono che quel re, temendo che per la tregua fatta niuno fusse per opporsi al re di Francia, avesse comandato al viceré che, in caso non vedesse gli altri concorrere caldamente alla difesa del ducato di Milano, che cercando di non provocare con ingiurie nuove il re di Francia, riducesse l'esercito a Napoli: per la qual cagione medesima dimostrava al re d'avere l'animo inclinato alla pace, offerendo di indurvi eziandio Cesare e il re di Inghilterra; e per renderlo manco acerbo seco, in caso recuperasse Milano, gli faceva promessa quasi certa che 'l suo esercito non se gli opporrebbe.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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