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      La quale opinione riferita dal viceré in presenza di molti capitani a Gurgense, che aveva recusato di intervenire nel consiglio, rispose che, per non essere sua professione la disciplina militare, non si vergognava di confessare di non avere giudicio nelle cose della guerra; e che se aveva consigliato l'andare a campo a Padova non era proceduto perché in questa deliberazione avesse creduto a se medesimo, ma avere creduto e seguitato l'autorità del viceré, il quale e per lettere e per messi propri n'aveva
      confortato piú volte Cesare, e datogli speranza grandissima d'ottenerla. Finalmente, non si rimovendo né per le querele né per le dispute le difficoltà, anzi crescendo a ogn'ora la disperazione dello spugnarla, si levò il campo, poi che diciotto dí era stato alle mura di Padova; ed essendo nel levarsi e poi nel camminare infestato continuamente da' cappelletti, si ritirò a Vicenza, vota allora d'abitatori e preda di chi era superiore alla campagna.
      Ottennono in questo mezzo le genti del duca di Milano, in sussidio delle quali il viceré avea mandato Antonio de Leva con mille fanti, Pontevico, a guardia della qual terra erano dugento fanti de' viniziani; i quali, non spaventati né dalle artiglierie né dalle mine e avendo sostenuto valorosamente l'assalto, furno alla fine di uno mese costretti ad arrendersi per mancamento di vettovaglie. E circa questo tempo medesimo Renzo da Ceri, uscito di Crema, roppe Silvio Savello; il quale, mandato dal duca di Milano, andava colla sua compagnia e quattrocento fanti spagnuoli a Bergamo: e poco dipoi, essendo ritornato a Bergamo un commissario spagnuolo a riscuotere danari, Renzo vi mandò trecento cavalli e cinquecento fanti; i quali presono insieme il commissario e la rocca, nella quale si era fuggito co' danari riscossi, essendovi dentro pochissimi difensori.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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