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      Aggiugnevasi a queste cose l'opportunità dello stato dell'arciduca, non tanto perché non proibiva che i sudditi ricevessino lo stipendio contro a' franzesi quanto perché prometteva di concedere che del dominio suo si conducessino vettovaglie all'esercito inghilese. Contro a tanti apparati e pericolosissime minaccie non ometteva il re di Francia provedimento alcuno: perché per mare preparava una potente armata per opporla a quella che si ordinava in Inghilterra, e per terra congregava esercito da ogni parte, sforzandosi sopratutto di condurre quanti piú poteva fanti tedeschi. Aveva anche fatto, prima, instanza co' svizzeri che poi che non volevano aiutarlo per le guerre di Italia, gli consentissino almeno fanti per la difesa di Francia: i quali, intenti totalmente alla stabilità del ducato di Milano, rispondevano non volergliene concedere se non tornava all'unità della Chiesa, lasciava il castello di Milano che ancora non era arrenduto, e, facendo cessione delle ragioni di quello stato, promettesse di non molestare piú né MilanoGenova. Aveva similmente il re per insospettire delle cose proprie il re di Inghilterra, chiamato in Francia il duca di Suffolch come competitore a quel regno; per il quale sdegno il re anglo fece decapitare il fratello, custodito insino allora in carcere in Inghilterra, poi che da Filippo re di Castiglia, nella navigazione sua in Spagna, era stato dato al suo padre. Né mancava al re di Francia speranza di pace col re cattolico: perché quel re, come ebbe inteso la lega fatta tra lui e i viniziani, diffidando potersi difendere il ducato di Milano, aveva mandato uno de' suoi secretari in Francia a proporre nuovi partiti; e si credeva che, considerando che la grandezza di Cesare e dello arciduca potessino alterargli il governo di Castiglia, non gli piacesse totalmente la depressione del regno di Francia.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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