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      Ma erano, per le cagioni che di sotto appariranno, tutti vani questi rimedi: era destinato che col pericolo e col sangue de' svizzeri, solamente, o si difendesse o si perdesse il ducato di Milano. Questi, non ritardati da negligenza alcuna, non dalla piccola quantità de' danari, scendevano sollecitamente nel ducato di Milano; già ne erano venuti piú di ventimila, de' quali diecimila si erano accostati a' monti; perché il consiglio loro era, ponendosi a' passi stretti di quelle vallate che dalle Alpi che dividono Italia dalla Francia sboccano ne' luoghi aperti, impedire il passare innanzi a' franzesi.
      Turbava molto questo consiglio de' svizzeri l'animo del re; il quale prima per la grandezza delle sue forze si prometteva certa la vittoria; perché nell'esercito suo erano dumila cinquecento lancie, ventiduemila fanti tedeschi guidati dal duca di Ghelleri, diecimila guaschi (cosí chiamavano i fanti soldati da Pietro Navarra), ottomila franzesi e tremila guastatori condotti col medesimo stipendio che gli altri fanti. Considerava il re co' suoi capitani essere impossibile, inteso il valore de' svizzeri, rimuovergli da' passi forti e angusti se non con numero molto maggiore; ma questo non si poteva in luoghi tanto stretti adoperare, difficile fare cosa di momento in tempo breve, piú difficile dimorare lungamente nel paese tanto sterile cosí grande esercito, con tutto che continuamente venisse verso i monti copia grandissima di vettovaglie. Nelle quali difficoltà, alcuni, sperando piú nella diversione che nell'urtargli, proponevano che si mandassino per la via di Provenza ottocento lancie, e per mare Pietro Navarra coi diecimila guaschi si unissino insieme a Savona; altri dicevano perdersi, a fare sí lungo circuito, troppo tempo, indebolirsi le forze e accrescersi troppo di riputazione agli inimici, dimostrando di non avere ardire di riscontrarsi con loro.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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