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      Fece e Pesero il medesimo, come l'esercito inimico si fu accostato: perché, con tutto vi fussino tremila fanti, la città fortificata e il mare aperto, Francesco Maria, lasciato nella rocca Tranquillo da Mondolfo suo confidato e i capitani e i soldati nella terra, se ne andò a Mantova, dove prima avea mandato la moglie e il figliuolo; o non si confidando a soldati la maggiore parte non pagati o, come molti scusando il timore con l'amore affermavano, impaziente di stare assente dalla moglie. Cosí il ducato di Urbino, insieme con Pesero e con Sinigaglia, venne in quattro dí soli alla ubbidienza della Chiesa, eccettuate le fortezze di Sinigaglia e di Pesero, San Leo, e la rocca di Maiuolo. Arrendessi quasi immediate quella di Sinigaglia; e quella di Pesero, benché fortissima, battuta due dí con l'artiglierie, convenne di arrendersi se fra venti dí non era soccorsa, con condizione che in quel mezzo non vi si facesse ripari né alcuna fortificazione: il quale patto male osservato fu cagione che Tranquillo, non avendo avuto soccorso infra il termine convenuto, recusò di consegnarla, e cominciato di nuovo a tirare l'artiglierie assaltò la guardia di fuora. Ma era piú dura la sua condizione, perché, ritornatosene, avuta che fu la terra, Lorenzo a Firenze, i capitani restati nello esercito avevano fatto trincee intorno alla rocca e messo in mare certi navili per vietare non vi entrasse soccorso: però, spirato il termine, si cominciò subito a batterla; ma il dí medesimo i soldati che vi erano dentro, fatto tumulto contro a Tranquillo, lo dettono per salvare sé ai capitani, da' quali in pena della sua contravenzione fu condannato al supplicio delle forche.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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