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      Essere tanti e tali i fondamenti della grandezza di Carlo che, aggiugnendosegli la degnità imperiale, si potesse sperare che avesse a ridurre Italia tutta e grande parte della cristianità in una monarchia; cosa non solo appartenente alla grandezza de' suoi discendenti ma ancora alla quiete de' sudditi e, per rispetto delle cose degli infedeli, a beneficio di tutta la republica cristiana. Ed essere ufficio e debito suo pensare allo augumento e alla esaltazione della degnità imperiale, stata tanti anni nella persona sua e nella famiglia di Austria; la quale, insino a quello dí, stata per la impotenza sua e de' suoi antecessori maggiore in titolo e in nome che in sostanza e in effetti, non si poteva sperare aversi a sollevare né ritornare al pristino splendore se non trasferendosi nella persona di Carlo e congiugnendosi alla sua potenza: la quale occasione, portatagli dall'ordine della natura e della fortuna, non essere ufficio suo di impedire anzi di augumentare. Vedersi per gli esempli degli antichi imperadori, Giulio Cesare, Augusto e molti de' suoi successori, che mancando di figliuoli e di persone della medesima stirpe, gelosi che non [si] spegnesse o diminuisse la degnità riseduta nella persona loro, avere cercato successori, remoti di congiunzione o non attenenti eziandio in parte alcuna per mezzo delle adozioni; ed essere fresco l'esempio del re cattolico, che amando come figliuolo Ferdinando, allevato continuamente appresso a lui, né avendo non che altro mai veduto Carlo, anzi provatolo nella sua ultima età poco ubbidiente a' precetti suoi, nondimeno, non avuta compassione della povertà di quello che amava come figliuolo, non gli aveva fatto parte alcuna di tanti stati suoi, né di quegli eziandio che per essere acquistati da lui proprio era in facoltà sua di disporre, anzi avere lasciato tutto a quello che quasi non conosceva se non per strano.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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