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      Eragli noto essere molestissimo a molte case illustri in Germania, che pretendevano essere capaci di quella degnità, che lo imperio fusse continuato tanti anni in una casa medesima, e che quello che oggi a l'una domani a l'altra dovevano dare per elezione fusse cominciato, quasi per successione, a perpetuarsi in una stirpe medesima; e potersi chiamare successione quella elezione che non ardiva discostarsi da' piú prossimi della stirpe degli imperadori: cosí da Alberto d'Austria essere passato lo imperio in Federigo suo fratello, da Federigo in Massimiliano suo figliuolo, e ora trattarsi di trasferirlo da Massimiliano nella persona di Carlo suo nipote. I quali umori e indegnazioni de' príncipi di Germania gli davano speranza che le discordie ed emulazioni tra loro medesimi potessino aiutare la causa sua, accadendo spesso nelle contenzioni che chi vede escluso sé, o chi è favorito da sé, si precipiti, posposti tutti i rispetti, piú presto a qualunque terzo che cedere a chi è stato opposito alla sua intenzione. Sperò oltre a questo il re di Francia nel favore del pontefice, cosí per la congiunzione e benivolenza che gli pareva avere contratta seco come perché non credeva che a lui potesse piacere che Carlo, principe di tanta potenza e che, contiguo col regno di Napoli allo stato della Chiesa, aveva per l'aderenza de' baroni ghibellini aperto il passo insino alle porte di Roma, conseguisse anche la corona dello imperio; non considerando che questa ragione, verissima contro a Car
      lo, militava ancora contro a lui: perché e al pontefice e a ciascuno altro non aveva a essere manco formidoloso lo imperio congiunto in lui che in Carlo; con ciò sia che se l'uno di loro possedeva forse piú regni e piú stati, l'altro non era da stimare manco, perché non aveva sparsa e divulsa in vari luoghi la sua potenza ma il regno tutto raccolto e unito insieme, con ubbidienza maravigliosa de' popoli suoi e pieno di grandissime ricchezze.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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