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      l'opportunità e le occasioni. Ma è vero quello che si dice: non hanno gli uomini maggiore inimico che la troppa prosperità, perché gli fa impotenti di se medesimi, licenziosi e arditi al male e cupidi di turbare il bene proprio con cose nuove. Lione, costituito in tale stato, o riputandosi a grande infamia lo avere perduto Parma e Piacenza, acquistate con tanta gloria da Giulio, o non potendo contenere lo appetito ardente allo acquisto di Ferrara o parendogli, se moriva senza avere fatto qualche cosa grande, lasciare infame la memoria del suo pontificato, o dubitando, come diceva egli, che i due re, esclusi ciascuno dalla speranza di averlo congiunto seco e per questo poco abili a offendersi insieme, condiscendessino finalmente tra loro a qualche congiunzione che fusse a depressione della Chiesa e di tutto il resto d'Italia, o sperando, come io udi' poi dire al cardinale de' Medici conscio di tutti i suoi secreti, cacciati i franzesi di Genova e del ducato di Milano, potere poi facilmente cacciare Cesare del reame napoletano, vendicandosi quella gloria della libertà d'Italia alla quale prima aveva manifestamente aspirato l'antecessore (cosa che non potendo succedere a Leone con le proprie forze, sperava, mitigato prima in qualche parte l'animo del re di Francia con eleggere qualche cardinale desiderato da lui e col dimostrarsi pronto a concedergli delle altre grazie, indurlo a dargli aiuto contro a Cesare, come se fusse per pigliare in luogo di ristoro il sollazzo che a Cesare accadesse il medesimo che era accaduto a lui); qualunque lo movesse di queste cagioni, o una o piú o tutte insieme, voltò tutti i pensieri alla guerra e a unirsi con uno di questi due príncipi, e, congiunto con lui, muovere in Italia l'armi contra a l'altro.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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