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      Il quale, dopo lungo parlamento ed essere stato certificato che il disordine era nato da' suoi, fu licenziato dal governatore; il quale, rispetto alla fede data e alle commissioni avute dal pontefice di non fare dimostrazione alcuna contro al re, non volle ritenerlo. Della quale ritenzione non sarebbe seguito lo effetto, che allora per molti si credette, della rebellione dello stato di Milano: perché le genti d'arme, se bene messe in fuga, non essendo seguitate da alcuno perché in Reggio erano pochissimi cavalli, e avendo riscontrato a' confini del reggiano Federico da Bozzole che veniva innanzi con mille fanti, si fermorono e riordinorono; e il terrore cominciato a Parma e a Milano, per essere stati i primi avvisi che lo Scudo era prigione e le genti d'arme rotte, non sarebbe andato innanzi come si fusse inteso le genti d'arme essere salve: non essendo massime, in luoghi vicini, esercito né forze da potere fare movimento alcuno, e restandovi molti altri capitani di genti d'arme. Ritirossi lo Scudo, raccolti i cavalli e i fanti, a Covriago, villa del reggiano vicina a sei miglia di Reggio, donde tra pochi dí si ritirò di là da Lenza in parmigiano; avendo mandato a Roma La Motta, a giustificare col pontefice le cagioni dello essere andato a Reggio e a fare instanza che, secondo i capitoli che erano tra il re e lui, cacciasse i rebelli del re fuora dello stato della Chiesa.
      Ma ne' dí medesimi, uno caso che accadette a Milano spaventò molto l'animo de' franzesi, come se con segni manifesti fussino ammuniti dal cielo delle future calamità. Perché il dí solenne per la memoria della morte del principe degli apostoli, tramontato già il sole nel cielo sereno, cadde per l'aria da alto a guisa di uno fuoco innanzi alla porta del castello, ove erano stati condotti molti barili di polvere d'artiglieria, tratti del castello per mandargli a certe fortezze; per il che, levatosi subitamente con grande strepito grande incendio, ruinò insino da' fondamenti una torre di marmo bellissima fabbricata sopra la porta, nella sommità della quale stava l'orologio, né solamente la torre ma le mura e le camere del castello e altri edifici contigui alla torre; tremando nel tempo medesimo, per il tuono smisurato e per la ruina tanto grande, tutti gli edifici e tutta la città di Milano: e i sassi e pietre grandissime dalle ruine volavano con impeto incredibile spaventosamente in qua e in là per l'aere, ora percotendo nel balzare molte persone ora ricoprendole con le ruine, dalle quali era ricoperta, con tanti sassi che pareva cosa stupendissima, la piazza del castello; de' quali alcuni di smisurata grandezza volorono lontani per ispazio piú di cinquecento passi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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