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      Però a me pareva piú presto ridicola che spaventosa la vanità de' minacci loro che se non ci confederiamo con Cesare ci volteranno contro l'esercito; come se il muovere la guerra contro al senato viniziano sia impresa facile e da sperarne presto la vittoria, e come se questo fusse il rimedio di fare che il re di Francia non passasse, e non piú presto cagione del contrario: perché, chi dubita che provocati da loro proporremmo per necessità condizioni tali al re che, quando bene ne avesse l'animo alieno, lo inducessino a passare? Non accadde egli questo medesimo a tempo del re Luigi? che le ingiurie e i tradimenti fattici da loro ci indussono a stimolare in modo quel re (quando io di suo prigione diventai vostro imbasciadore), che al tempo che piú temeva di essere assaltato potentissimamente in Francia mandò l'esercito suo, benché con mala fortuna, in Italia. Non crediate che se gli imperiali pensassino che la via di tirarci alla amicizia loro o di assicurarsi della venuta del re di Francia fusse lo assaltarci, che avessino differito insino a questo dí a dargli principio. Forse che non hanno i capitani loro cupidità di arricchirsi delle prede e de' guadagni delle guerre? forse che non hanno avuto necessità, per sgravare il paese degli amici e sgravandolo avere facoltà di trarne danari, di nutrire l'esercito ne' paesi d'altri? ma hanno conosciuto che per la potenza nostra è troppo difficile lo sforzarci; che per loro non fa, temendo ogni dí della guerra del re di Francia, implicarsi in una altra guerra, né dare cagione a uno stato potente di forze e di danari di stimolare con la grandezza delle offerte i franzesi a passare.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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