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      Alla volontà de' quali non potendo repugnare il duca di Borbone, posero il campo a Marsilia; nella quale città era entrato Renzo da Ceri con quegli fanti italiani che da Alessandria e da Lodi erano stati menati in Francia. Intorno a Marsilia dimororno vanamente quaranta dí, perché, benché battessino da piú parti le mura con l'artiglierie e tentassino di fare le mine, nondimeno si opponevano alla spugnazione molte difficoltà: la muraglia assai forte di antica struttura, la virtú de' soldati, la disposizione del popolo, divotissimo a' re di Francia e inimicissimo al nome spagnuolo, per la memoria che Alfonso vecchio d'Aragona, ritornando da Napoli con armata marittima in Ispagna, avea all'improviso saccheggiata quella città, la speranza del soccorso cosí dalla parte del mare come perché il re di Francia, venuto in Avignone città del pontefice posta in sul Rodano, raccoglieva continuamente grande esercito. Aggiugnevasi che all'esercito mancavano danari. Mancavano similmente le speranze che il re di Francia, assaltato da altre parti, fusse impedito a volgere a una parte sola tutti i suoi provedimenti: perché il re di Inghilterra, con tutto che appresso a Borbone avesse mandato Riccardo Pacceo, ricusava di pagare i centomila ducati per il secondo mese; meno faceva segni di muovere la guerra nella Piccardia, anzi, avendo ricevuto nell'isola Giovan Giovacchino dalla Spezie mandatogli dal re di Francia, e rispondendo il cardinale sinistramente agli oratori di Cesare, dava dell'animo suo non mediocre sospetto.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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