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      Non abbandonerà il duca al presente se medesimo, non abbandonerà in futuro voi. La potenza di Cesare è grandissima, la fortuna inestimabile; la causa è giustissima, gli inimici sono quegli medesimi che tante volte sono stati vinti da noi. Risguarderà Iddio la pietà vostra verso il duca, la pietà del duca verso la patria; e dobbiamo tenere per certo che, permettendo ora a qualche buon fine quello a che ci costrigne la necessità presente, ci darà presto contro all'inimico superbissimo vittoria tale che felicemente con lunga pace ci ristoreremo da tante molestie. - Dopo le quali parole, avendo fatto mettere vettovaglie in castello, si uscí della città. Andava e il duca a Milano, non sapendo quel che avesse fatto il Morone; ma a fatica uscito di Pavia, scontrò Ferrando Castriota che guidava l'artiglieria, dal quale avvertito che una grande parte degli inimici avea passato il Tesino, e che avendo scontrato in sul fiume Zucchero borgognone co' suoi cavalli leggieri l'aveano rotto, temendo non trovare il cammino impedito, ritornò a Pavia. Nelle quali cose benché il duca e il Morone fussino proceduti sinceramente, nondimeno i capitani di Cesare, che erano coll'esercito a Binasco, insospettiti che occultamente non fussero convenuti col re di Francia, mandorno Alarcone con dugento lancie a Milano, per seguitarlo o no secondo gli avvisi ricevessino da lui. Alla giunta del quale, il popolo, che già concordava con alcuni fuorusciti che convenivano in nome del re, ripreso animo chiamò il nome di Cesare e di Francesco Sforza.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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