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      Nel qual tempo, de' capitani di Cesare, si era fermato il marchese di Pescara in Lodi con duemila fanti; e il viceré, lasciate guardate Alessandria, Como e Trezzo, si era ridotto a Sonzino, insieme con Francesco Sforza e con Carlo di Borbone; i quali, intra tante difficoltà e angustie ripreso alquanto d'animo per la andata del re a Pavia, e pensando al riordinarsi se la difesa di quella città dava loro tempo (perché altrimenti niuno rimedio conoscevano), mandorno in Alamagna a soldare seimila fanti; allo stipendio de' quali, e a altre spese necessarie, si provedeva con cinquantamila ducati che Cesare, perché nella guerra di Provenza si spendessino, a Genova mandati avea. Ma sopra tutte le cose disturbava i consigli loro la penuria di danari, non avendo facoltà di trarne del ducato di Milano, né sperando d'avere, per la impotenza sua, da Cesare altro provedimento che commissione che a Napoli si vendesse il piú si poteva dell'entrate del regno. Piccolo o forse niuno sussidio, o di soldati o di danari, speravano dagli antichi confederati; perché dal pontefice e dai fiorentini, richiesti di porgere danari, ottenevano parole generali: perché il papa, dopo la partita dell'ammiraglio di Italia deliberato al tutto di non si mescolare nelle guerre tra Cesare e il re di Francia, non aveva mai voluto rinnovare la confederazione fatta coll'antecessore né fare lega nuova con alcun principe; anzi, benché si dimostrasse inclinato a Cesare e al re di Inghilterra, aveva occultamente prima promesso al re di Francia di non se gli opporre quando assaltasse il ducato di Milano; e i viniziani, ricercati dal viceré che ordinassino le genti alle quali erano tenuti per i capitoli della lega, benché non negassino rispondevano freddamente, come quegli che aveano nell'animo di accomodare i consigli a' progressi delle cose, o perché appresso a molti di loro risorgesse la memoria della congiunzione antica col re di Francia, o perché credessino egli passato in Italia con tante forze contro a inimici imparatissimi dovere essere vittorioso, o perché piú che il solito avessino a sospetto la ambizione di Cesare, conciossiaché, con ammirazione e quasi querela di tutta Italia, non avesse investito Francesco Sforza del ducato di Milano.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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