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      Sperare che, fatto questo, si converrebbe in qualche modo onesto della pace: per la quale proponeva che il ducato di Milano, separandosi in tutto dalla corona di Francia, fusse con l'investitura di Cesare (il quale in ricompenso ne ricevesse somma conveniente di pecunia) conceduto al secondogenito del re; che con onesto modo si provedesse al duca di Milano e al duca di Borbone; e che il pontefice i viniziani e i fiorentini si obligassino a unirsi con Cesare contro al re, in caso non osservasse le cose promesse.
      Conoscevano i capitani di Cesare la grandezza delle difficoltà e de' pericoli, avendo in un tempo medesimo a sostenere in tanta penuria di danari la guerra in Lombardia e a pensare al regno di Napoli, abbandonati manifestamente da' sussidi del pontefice e de' fiorentini, e già certi che i viniziani farebbono il medesimo; i quali, se bene soldando nuovi fanti si ingegnassino dare speranza di volere osservare la lega, differivano con varie scuse l'esecuzione. Però il viceré, non alieno con l'animo dalla concordia, inclinava per la sicurtà del regno di Napoli a ritirarvisi con l'esercito. Ma prevalse nel consiglio il parere del marchese di Pescara; il quale, procedendo parimente con audacia e con prudenza, dimostrò essere necessario, dispregiati gli altri pericoli, fermarsi alla guerra di Lombardia, dalla vittoria della quale tutte l'altre cose dipendevano. Non essere destinate tali forze ad assaltare il regno di Napoli, né potere con tal celerità condursi là, ove erano molte terre forti, e la resistenza di coloro la salute de' quali consisteva nel difenderlo, che almeno non si dovesse per piú e piú mesi sostenere; nel qual tempo verisimilmente si imporrebbe alla guerra di Milano l'ultima mano: se con vittoria, chi dubitava che vincendo libererebbono subito il reame di Napoli, quando bene per Cesare non si tenesse altro che una torre sola?


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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