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      Da Milano andò da poi don Ugo a Roma, avendo prima scritto a Vinegia che mandassino autorità sufficiente allo oratore loro di Roma per potere trattare le cose occorrenti: dove arrivato si presentò insieme col duca di Sessa innanzi al pontefice, proponendogli con parole magnifiche essere in potestà sua accettare la pace o la guerra; perché Cesare, ancora che per la sua buona mente avesse inclinazione piú alla pace, era nondimeno e con l'animo e con le forze parato e a l'una e a l'altra. A che avendogli risposto il pontefice generalmente, dolendosi però che i mali termini usati seco dai suoi ministri e la tardità della venuta sua fussino cagione che, dove prima era libero di se medesimo, si trovasse ora obligato ad altri, ritornati a lui il dí seguente, gli esposeno la intenzione di Cesare essere: lasciare libero il ducato di Milano a Francesco Sforza, deponendosi però il castello in mano del protonotario Caracciolo insino a tanto che, per onore di Cesare, avesse conosciuto la causa, non sostanzialmente, ma per apparenza e cerimonia; terminare con modo onesto le differenze sue co' viniziani; levare lo esercito di Lombardia co' pagamenti altre volte ragionati; né, in contracambio di queste cose, ricercare altro da lui se non che non si intromettesse tra Cesare e il re di Francia. A questa proposta rispose il pontefice: credere che e' fusse noto a tutto il mondo quanto avesse sempre desiderato di conservare l'amicizia con Cesare, né avere mai ricercatolo di maggiori cose di quelle che spontaneamente gli offeriva; le quali, desiderando lui piú il bene comune che lo interesse proprio, non potevano essere piú secondo la sua sodisfazione: continuare e ora nel medesimo proposito, ancora che gli fussino state date molte cagioni di alterarlo; e nondimeno udire al presente con maggiore molestia d'animo che le gli fussino concedute che non aveva udito quando gli erano state denegate, perché non era piú in potestà sua, come era stato prima, di accettarle: il che non essere proceduto per colpa sua ma per l'avere Cesare tardato tanto a risolversene: la quale [tardità] aveva causato che, non gli essendo mai stata porta speranza alcuna di assicurare le cose comuni d'Italia, e in questo mezzo [vedendo] consumarsi il castello di Milano, era stato necessitato, per la salute sua e degli altri, confederarsi col re di Francia; senza il quale, non volendo mancare alla osservanza della fede, non poteva piú determinare cosa alcuna.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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