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      Combattessi al principio gagliardamente, e fu opinione di molti che se gli spagnuoli avessino perseverato nel combattere arebbeno ricuperato Lodi; perché i soldati viniziani, ne' quali per l'ordinario non era molta virtú, si trovavano assai stracchi. Ma il marchese diffidando, o per avervi trovato piú numero di gente che da principio non aveva creduto o per immaginarsi che lo esercito viniziano fusse propinquo, si staccò presto dal combattere, e lasciata la guardia nel castello si ritirò a Milano. Sopravenne dipoi il duca d'Urbino, il quale si gloriava di avere fatto passare l'esercito, senza fermarsi, per ponti in su due fiumi grossi; e attese a stabilire piú la vittoria, ingrossandovi di gente, per resistere se gli inimici di nuovo vi ritornassino, e facendovi piantare l'artiglierie; ma quegli di dentro, perché non aspettavano soccorso e potevano difficilmente difendere il castello, capace per il piccolo circuito di poca gente, la notte seguente, essendo raccolti da i cavalli che a questo effetto furno mandati da Milano, abbandonorono il castello.
      Lo acquisto di Lodi fu di grandissima opportunità e di riputazione non minore alle cose della lega, perché la città era bene fortificata e una di quelle che sempre si era disegnato che gli imperiali avessino a difendere insino allo estremo. Da Lodi si poteva, senza alcuno ostacolo, andare insino in su le porte di Milano e di Pavia; perché queste città, situate come in triangolo, sono vicine l'una a l'altra venti miglia (però gli imperiali vi mandorono subito da Milano mille cinquecento fanti tedeschi); e trovavasi guadagnato il passo d'Adda, che prima era riputato di qualche difficoltà; levato ogni impedimento dell'unione degli eserciti; tolta la facoltà di soccorrere, quando fusse assaltata, Cremona (nella quale città era a guardia il capitano Curradino con mille cinquecento fanti tedeschi); e privati gli inimici di uno luogo opportunissimo a travagliare lo stato della Chiesa e quello de' viniziani: donde era voce comune per tutto l'esercito che, procedendosi innanzi con prestezza, gli imperiali si ridurrebbono in grandissima perplessità e confusione.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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