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      Ma non apparí anche ne'
      dí medesimi de' tumulti la fede nostra? perché, nella sollevazione della moltitudine, chi altri che noi si interpose con l'autorità e co' prieghi a fargli deporre l'armi? chi altri che noi, l'ultimo dí del tumulto, persuase a' capi e a' giovani sediziosi che si partissino della città? alla moltitudine, che si sottomettesse alla ubbidienza de' capitani? Ma e la commemorazione delle opere nostre e la giustificazione dalle calunnie opposteci sarebbe forse necessaria o conveniente se i supplíci che noi patiamo fussino corrispondenti a' delitti de' quali siamo accusati, o almanco se non li trapassassino di molto; ma che differenza è dall'una cosa all'altra! Perché noi abbiamo ardire di dire, giustissimo principe, che se i peccati di ciascuno di noi fussino piú gravi che fussino mai stati i peccati e le sceleratezze commesse da alcuna città verso il suo principe, che le pene, anzi l'acerbità de' supplíci che noi immeritamente sopportiamo, sarebbono maggiori senza proporzione di quello che avessimo meritato. Abbiamo ardire di dire che tutte le miserie tutte le crudeltà tutte le immanità (taciamo per onore nostro delle libidini) che abbia mai, alla memoria degli uomini, sopportate alcuna città alcuno popolo alcuna congregazione d'abitatori, raccolte insieme tutte, siano una piccola parte di quelle che, ogni dí ogni ora ogni punto di tempo, sopportiamo noi; spogliati in uno momento di tutta la roba nostra, costretti gli uomini liberi, con tormenti con carceri private con catene messe a' corpi di molti de' nostri dai soldati, a provedergli del vitto continuamente, a uso non militare ma di príncipi, a provedergli di tutte quelle cose che caggiono nella cupidità loro, a pagare ogni dí a loro nuovi danari; li quali essendo impossibile a pagare, gli costringono con minacci con ingiurie con battiture con ferite: in modo che non è alcuno di noi che non ricevesse per somma grazia, per somma felicità, nudo, a piede, lasciate in preda tutte le sostanze, potersi salvo della persona fuggire da Milano, con condizione di perdere in perpetuo e la patria e i beni.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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