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      Ebbesi poco poi la certezza dello accordo: perché il duca di Milano, essendo ridotto il castello in tanta estremità di vivere che appena poteva sostenersi uno giorno, e disperato totalmente del soccorso, poi che dallo esercito della lega, arrivato due dí innanzi in alloggiamento sí vicino, non vedeva farsi movimento alcuno, continuate le pratiche che già piú dí, per trovarsi preparato a questo caso, aveva tenute col duca di Borbone (il quale, ritirato che fu l'esercito, aveva mandato in castello a visitarlo), conchiuse lo accordo il vigesimoquarto dí di luglio. Nel quale si contenne: che senza pregiudizio delle sue ragioni desse il castello di Milano a' capitani, riceventilo in nome di Cesare, avuta facoltà da loro di uscirne salvo insieme con tutti quegli che erano nel castello; e gli fusse lecito fermarsi a Como, deputatogli per stanza, col suo governo ed entrate, insino a tanto che si intendesse sopra le cose sue la deliberazione di Cesare; aggiugnendogli tante altre entrate che a ragione di anno ascendessino in tutto a trentamila ducati: dessigli salvocondotto per potere personalmente andare a Cesare; e si obligorono pagare i soldati che erano nel castello di quel che si doveva loro per gli stipendi corsi insino a quel dí, che si dicevano ascendere a ventimila ducati: dessinsi in mano del protonotario Caracciolo, Giannangiolo Riccio e il Poliziano, perché gli potesse esaminare; avuta la fede da lui di rilasciargli poi e fargli condurre in luogo sicuro: liberasse il duca di Milano il vescovo di Alessandria, che era prigione nel castello di Cremona; e a Sforzino fusse dato Castelnuovo di Tortonese.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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