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      Denegava, benché da principio vi dimostrasse inclinazione, di attendere per sé all'acquisto del ducato di Milano, dissuadendonelo massime Lautrech e la madre: del rompere la guerra di là da' monti dava speranza, ma diceva (il che si negava) essere necessario che precedesse la intimazione; la quale fatta, offeriva di muovere la guerra a' confini della Fiandra e di Perpignano, benché si comprendeva non v'avesse disposizione, non essendo in questo diverso l'animo suo da quello del re di Inghilterra. Appresso al quale l'espedizione fatta per parte del pontefice fece piccolissimo frutto: perché volendo il cardinale eboracense intrattenere ciascuno ed essere pregato da tutti, non procedevano a conclusione alcuna; anzi e il re e il cardinale rispondevano spesso: - A noi non appartengono le cose di Italia. - Anzi il re di Francia offeriva, consentendogli il pontefice le decime, volere convertire tutti i danari nella guerra di Italia; non lo consentendo, ne offeriva il mese ventimila, con condizione che non si spendessino se non o contro a Milano o contro al regno di Napoli.
      Nel quale tempo temendosi che i grigioni, i quali nell'assedio del castello di Milano avevano recuperato e spianato Chiavenna, non si conducessino col duca di Borbone, o almanco permettessino che i tedeschi che si aspettavano al soccorso suo passassino per il paese loro, il pontefice e i viniziani si obligorno di condurre dumila fanti grigioni agli stipendi loro, pagare al castellano di Mus (il quale, temendo del duca di Milano quando venne nell'esercito, si era fuggito di campo, e dipoi, pretendendo essere creditore per i pagamenti fatti a' svizzeri, aveva fatti prigioni due imbasciadori viniziani che andavano in Francia) ducati cinquemila cinquecento che sforzati gli avevano promessi, restituirne a loro altrettanti che aveva estorti; fargli liberare da' dazi nuovi imposti a chi navigava per il lago di Como da lui.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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