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      Partironsi finalmente le genti di Cremona, della quale città fu consegnata la possessione a Francesco Sforza; e i tedeschi col capitano Curadino se ne andorono alla volta di Trento: ma i cavalli e i fanti spagnuoli, avendo passato Po per tornarsene nel regno di Napoli, ed essendo fatta loro qualche difficoltà dal luogotenente di concedere le patenti e i salvocondotti sufficienti (perché era molesto al pontefice che andassino a Napoli), preso allo improviso il cammino per la montagna di Parma e di Piacenza, e dipoi ripassato con celerità il Po alla Chiarella, si condussono salvi nella Lomellina e dipoi a Milano. Né solo partí dalle mura di Milano, per l'osservanza della tregua, il luogotenente con le genti del pontefice, ma eziandio si discostò da Genova Andrea Doria con le sue galee: contro alle quali erano, pochi dí prima, usciti di Genova seimila fanti tra pagati e volontari (perché in Genova erano quattromila fanti pagati), con ordine di assaltare prima secento fanti, i quali con Filippino dal Fiesco erano in terra, sperando che rotti quegli le galee, perché il mare era molto turbato, non si potessino salvare; ma Filippino aveva fatto, nella sommità delle montagne appresso a Portofino, tali fortificazioni di ripari e di bastioni che gli costrinse a ritirarsi con non piccolo danno. E nondimeno, non molti dí poi, non so sotto quale colore, Andrea Doria con sei galee ritornò a Portofino, per continuare insieme con gli altri nell'assedio marittimo di Genova.
     
      Lib.17, cap.14
     
      Intimazione a Cesare della lega conclusa fra il pontefice il re di Francia ed i veneziani.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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