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      Perché il pontefice, il quale non era entrato nella guerra con la costanza dell'animo conveniente, aveva scritto insino il vigesimo sesto dí di giugno [un brieve a Cesare] acerbo e pieno di querele, escusandosi di essere stato necessitato da lui alla guerra; ma parendogli, poi che l'ebbe espedito, che fusse troppo acerbo, ne scrisse subito un altro piú mansueto, commettendo a Baldassare da Castiglione suo nunzio che ritenesse il primo; il quale, già arrivato, era stato presentato il decimosettimo dí di settembre; fu dipoi presentato l'altro, e Cesare separatamente, benché in una espedizione medesima, rispose all'uno e all'altro secondo le proposte: allo acerbo acerbamente, al dolce dolcemente. Aveva avidamente prestato orecchi al generale di San Francesco, il quale, andandosene, quando si mosse la guerra, in Spagna, ebbe dal papa imbasciate dolci a Cesare; e di nuovo ritornato a Roma, per commissione di Cesare, aveva riferito assai della sua buona mente: e che sarebbe contento venire in Italia con cinquemila uomini e, presa la corona dello imperio, passare subito in Germania per dare forma alle cose di Luter, senza parlare del concilio; accordare co' viniziani con oneste condizioni; rimettere in due giudici diputati dal papa e da lui la causa di Francesco Sforza, il quale se fusse condannato, dare quello stato al duca di Borbone; levare lo esercito di Italia, pagando il papa e i viniziani trecentomila scudi o piú per le paghe corse (pure, che questo si tratterebbe per ridurlo a somma piú moderata); restituire al re i figliuoli, avuto da lui in due o piú termini due milioni d'oro: mostrava essere facile lo accordare col re d'Inghilterra, per non essere somma grande e il re di Francia averla già offerta.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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