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      Convocò anche i romani, ricercandogli che in tanto pericolo della patria pigliassino prontamente l'armi per difenderla, e i piú ricchi prestassino danari per soldare fanti, alla quale cosa non trovò corrispondenza alcuna. Anzi è restato alla memoria che Domenico di Massimo, ricchissimo sopra a tutti i romani, offerse di prestare cento ducati: della quale avarizia patí le pene, perché le figliuole andorono in preda de' soldati, egli co' figliuoli fatti prigioni ebbono a pagare grandissime taglie.
      Ma in Firenze, avuta la nuova della partita di Borbone, la quale, scritta da Vitello che era in Arezzo, ritardò uno dí piú che non era conveniente a venire, si deliberò da' capitani che il conte Guido Rangone, con i cavalli suoi e con quelli del conte di Gaiazzo e con cinquemila fanti de' fiorentini e della Chiesa, andasse subito, spedito, alla volta di Roma, seguitasse l'altro esercito appresso: sperando che, se Borbone andava con artiglierie, sarebbe questo soccorso a Roma innanzi a lui; se andava spedito, sarebbe sí presto dopo lui che, non avendo artiglierie ed essendo mediocre difesa in Roma, dove il papa aveva scritto avere seimila fanti, sarebbe sopratenuto tanto che arrivasse questo primo soccorso; il quale arrivato, non era pericolo alcuno che Roma si perdesse. Ma la celerità di Borbone e le piccole provisioni di Roma pervertirono tutti i disegni. Perché Renzo da Ceri, al quale il pontefice aveva dato il carico principale della difesa di Roma, avendo per la brevità del tempo condotto pochi fanti utili ma molta turba imbelle e imperita, raccolta tumultuariamente dalle stalle de' cardinali e de' prelati e dalle botteghe degli artefici e delle osterie, e avendo fatto ripari al Borgo deboli, a giudizio di tutti, ma a giudizio suo sufficienti, confidava tanto nella difesa che né permettesse che si tagliassino i ponti del Tevere per salvare Roma, se pure il Borgo e Trastevere non si potessino difendere; anzi, giudicando essere superfluo il soccorso, presentita la venuta del conte Guido, gli fece il quarto dí di maggio scrivere dal vescovo di Verona in nome del pontefice che, per essere Roma provista e fortificata a bastanza, vi mandasse solamente seicento o ottocento archibusieri, egli col resto delle genti andasse a unirsi con l'esercito della lega, col quale unito farebbe piú frutto che rinchiuso in Roma: la quale lettera se bene non fece nocumento alcuno, perché il conte non era tanto innanzi che potesse essere a tempo, certificò pure quanto male si calcolassino da lui i pericoli presenti.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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