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      Il quale accordo come fu fatto, entrò nel Castello con tre compagnie di fanti spagnuoli e tre compagnie di fanti tedeschi il capitano Alarcone; il quale, deputato alla guardia del Castello e della persona del pontefice, lo guardava con grandissima diligenza, ridotto in abitazioni anguste e con piccolissima libertà.
      Ma non furono con la medesima facilità consegnate l'altre fortezze e terre promesse: perché quella di Civita Castellana era custodita in nome de' collegati; quella di Civitavecchia recusò di consegnare Andrea Doria, benché n'avesse comandamento dal pontefice, se prima non gli erano pagati quattordicimila ducati, de' quali diceva di essere creditore per gli stipendi suoi. A Parma e a Piacenza andò in nome del pontefice Giuliano Leno romano, architettore, in nome de' capitani Lodovico conte di Lodrone, con comandamento alle città di obbedire alla volontà di Cesare; benché da altra parte avesse fatto occultamente intendere loro il contrario: le quali città, aborrendo lo imperio degli spagnuoli, recusorono di volergli ammettere. Ma i modonesi non erano piú in potestà propria, perché il duca di Ferrara, non pretermettendo l'occasione che gli davano le calamità del pontefice, minacciando di dare il guasto alle biade già mature, gli costrinse a dargli il sesto dí di giugno la città; non senza infamia del conte Lodovico Rangone, il quale, benché il duca avesse seco poca gente, se ne partí, non fatto segno alcuno di resistenza: e disprezzò in questo il duca l'autorità de' viniziani, i quali lo confortavano a non fare, in tempo tale, innovazione alcuna contro alla Chiesa.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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