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      Avevanvi i fiorentini ottanta uomini d'arme cento cinquanta cavalli leggieri e quattromila fanti, necessitandogli a stare meglio proveduti che gli altri il timore che avevano continuamente che l'esercito imperiale non assaltasse la Toscana: però pagavano a' tempi debiti le genti loro, di che facevano il contrario tutti gli altri. Ma il duca d'Urbino, oltre alle sue antiche difficoltà, era in grandissimo dispiacere e quasi disperazione, sapendo che il re di Francia e Lautrech, tassandolo eziandio di infedeltà, non parlavano onoratamente di lui, ma molto piú perché era in malissimo concetto appresso a' viniziani; i quali, insospettiti o della fede o della instabilità sua, avevano messa diligente guardia alla moglie e al figliuolo, che erano in Vinegia, perché non partissino senza licenza loro; e dannavano scopertamente il suo consiglio, che era che Lautrech, senza tentare le cose di Lombardia, andasse verso Roma. Però dormiva ogni cosa oziosamente in quello esercito, avendo per grazia che gli imperiali non venissino piú innanzi: i quali, non molto poi, ricevuti dal marchese del Guasto, che andò all'esercito, due scudi per uno, se ne ritornorono, i tedeschi, male concordi con gli spagnuoli, a Roma, restando gli spagnuoli e gli italiani distesi ad Alviano, Attigliano, Castiglione della Teverina e verso Bolsena; ma diminuito tanto il numero massime de' tedeschi, per la peste, che si credeva che in tutto l'esercito di Cesare non fussino restati piú che diecimila fanti.
      Ma innanzi alla partita loro feciono i capitani de' confederati uno atto degno di eterna infamia.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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