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      Sospettava dell'animo di Lautrech: perché avendo Lautrech, oltre a molte instanze fattegli prima, mandato, da poi che era partito da Bologna, Valdemonte capitano generale di tutti i fanti tedeschi e Longavilla, a ricercarlo strettissimamente che si dichiarasse contro a Cesare, potendo, massime per l'approssimarsi l'esercito, farlo sicuramente, non aveva potuto ottenerlo, non lo denegando il pontefice espressamente ma differendo e escusando; per la quale cagione aveva offerto al re di Francia di consentirvi, ma con condizione che i viniziani gli restituissino Ravenna: condizione quale sapeva non dovere avere effetto, non essendo i viniziani per muoversi a questo per le persuasioni del re, né comportando il tempo che egli, per sodisfare al pontefice, se gli provocasse inimici. Aggiugnevasi che anche non udiva la instanza di Lautrech fatta perché ratificasse la concordia fatta col duca di Ferrara, allegando essere cosa molto indegna lo approvare, quando era vivo, le convenzioni fatte in nome suo mentre che era morto; ma che non recuserebbe di convenire con lui: donde il duca di Ferrara, pigliando questa occasione, faceva difficoltà, benché ricevuto nella protezione del re di Francia e de' viniziani, mandare a Lautrech i cento uomini d'arme e di pagargli i danari promessi; come quello che, dubitando dell'esito delle cose, si sforzava di non aderire tanto al re di Francia che non gli restasse luogo di placare in qualunque evento l'animo di Cesare, appresso al quale si era escusato della sua necessità; e intratteneva continuamente a Ferrara Giorgio Fronspergh e Andrea de Burgo.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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