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      La quale come si scoperse da lontano, Filippino, ancora che con grande animo avesse fatte tutte le preparazioni necessarie per combattere, nondimeno commosso dal numero grande de' legni che si scoprivano, stette molto sospeso; ma in breve spazio di tempo lo liberò da questa dubitazione il vedere, quando gli inimici si approssimavano, non vi essere altri legni da gabbia che sei. Perciò, con animo forte e come capitano peritissimo della guerra navale, fece allargare sotto specie di fuga tre galee dalle altre sue, acciò che girando assaltassino col vento prospero gli inimici per lato e da poppa, egli con cinque galee va incontro agli inimici, i quali dovevano scaricare la loro artiglieria per tôrre a lui col fumo la mira e la veduta. Ma Filippino dette fuoco a uno grandissimo basalischio della sua galea, il quale percotendo nella galea capitana, in sulla quale era don Ugo, ammazzò al primo colpo quaranta uomini, tra' quali il maestro della galea e molti uffiziali; e scaricate poi altre artiglierie ne ammazzò e ferí molti. Da altro canto l'artiglierie scaricate dalla galea di don Ugo ammazzorono nella galea di Filippino il maestro, ferirono il padrone; ma i genovesi, esperimentati a queste battaglie, schifavano meglio il pericolo, combattendo chinati e cauti fra gli intervalli de' palvesi. Cosí, mentre combattono con grandissima ferocia e spavento le due galee, tre altre galee degli imperiali strignevano due genovesi, ed erano già molto superiori; ma le tre prime genovesi, che simulando di fuggire erano andate in alto mare, ritornate sopra gli inimici percosseno per lato la galea capitana: delle quali la galea che era chiamata la Nettunna svelse il suo albero, che gli fece grande danno.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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