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      Non essendo anche stata piú pronta la passata di San Polo; il quale, non ostante tutti i disegni e le promesse fatte dal re di mandare per interesse suo gente contro a' tedeschi, non arrivò in Piemonte se non in tempo che già i tedeschi se ne andavano, e anche con numero di gente molto minore che non avevano publicato.
      Non restavano perciò i collegati di fare di nuovo instanza col pontefice che si dichiarasse per loro, e che procedendo contro a Cesare con l'armi spirituali lo privasse dello imperio e del reame di Napoli. Il quale, poi che si fu scusato che, dichiarandosi, non sarebbe piú mezzo opportuno alla pace, che la dichiarazione sua susciterebbe maggiore incendio tra príncipi cristiani senza utilità de' collegati, per la povertà e impotenza sua, e la privazione di Cesare solleverebbe la Germania, per sospetto che e' non volesse applicare a sé la autorità di eleggere, ed eleggesse il re di Francia; dimostrava il pericolo imminente da' luterani, i quali ampliavano: finalmente, non potendo piú resistere, si offerse parato a entrarvi se i viniziani gli restituivano Ravenna, condizione proposta da lui come impossibile; offerendo anche a obligarsi a non molestare lo stato di Firenze. Però, il vigesimo dí di giugno, arrivorno a Vinegia il visconte di Turrena e oratori del re di Inghilterra a instare con quel senato: promettendo per lui l'osservanza delle promesse; ma non avendo potuto ottenerne altro partirono male sodisfatti.
      Ricuperò in questi tempi il pontefice la città di Rimini; la quale, tentata prima invano da Giovanni da Sassatello, si arrendé finalmente con patti che fussino salve le robe e le persone.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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