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      Nel quale tempo tra Cesare e i viniziani non si facevano fazioni di momento; perché i viniziani, inclinati ad accordare seco, per non irritare piú l'animo suo, avevano ritirato l'armata loro dalla impresa del castello di Brindisi a Corfú, attendendo solo a guardare le terre tenevano, e in Lombardia non si facendo per ancora se non leggiere escursioni. Però, intenti solo alla guardia delle terre, avevano messo in Brescia il duca d'Urbino, e in Bergamo il conte di Gaiazzo con seimila fanti. Il quale (non so se innanzi entrasse in Bergamo o poi), avendo fatto una imboscata presso a Valezzo, per avere inteso farsi una cavalcata da' cavalli borgognoni, essendo venuti grossi, lo ruppeno, preseno Gismondo Malatesta e Lucantonio; egli, fatto prigione da quattro italiani, persuasogli con grandi promesse che lo lasciassino fu da loro condotto a Peschiera e liberato. Erano i tedeschi mille cavalli e otto in diecimila fanti; i quali, stati dispersi qualche dí, si ritirorno a Lonata, disegnandosi che insieme col marchese di Mantova facessino la impresa di Cremona, dove era il duca di Milano. Il quale, vedendosi escluso dallo accordo con Cesare, e che Antonio de Leva era andato a campo a Pavia, e che già il Caracciolo andava a Cremona a denunziargli la guerra, convenne co' viniziani di non fare concordia con Cesare senza consentimento loro; i quali si obligorono dargli per la difesa del suo stato dumila fanti pagati e ottomila ducati il mese, e gli mandorono artiglierie e gente a Cremona; col quale aiuto confidava il duca potere difendere Cremona e Lodi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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