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      Si poteva chiamare monsignor Myriel a qualunque ora al capezzale dei malati e dei moribondi, poiché egli non ignorava che quello era il suo maggior dovere e il suo maggior lavoro. Le famiglie vedove od orfane non avevano bisogno di farlo chiamare, perché giungeva da sé. Sapeva sedersi e tacere per lunghe ore vicino all'uomo che aveva perduto la sposa che amava, alla madre che aveva perduto il figlio; e come sapeva opportunamente tacere, così sapeva anche parlare. Oh, quale meraviglioso consolatore! Non cercava di cancellare il dolore coll'oblìo, ma d'ingrandirlo e nobilitarlo colla speranza. Diceva: «State bene attenti al modo di considerare i morti. Non pensate a quel che imputridisce; guardate fisso e scorgerete il vivo bagliore del vostro morto adorato nel fondo del cielo.» Sapeva che la fede è sana, e procurava di consigliare e di calmare l'uomo disperato, mostrandogli a dito l'uomo rassegnato; cercava di trasformare il dolore che guarda una fossa nel dolore che guarda una stella.
      V • IN CUI SI VEDE COME MONSIGNOR MYRIEL FACESSE DURARE TROPPO A LUNGO LE SUE TONACHE.
      La vita intima di monsignor Myriel era piena degli stessi pensieri della sua vita pubblica. Per chi avesse potuto vederla da vicino, la volontaria povertà in cui viveva il vescovo di Digne avrebbe costituito uno spettacolo grave ed attraente. Al pari di tutti i vecchi e della maggior parte dei pensatori, egli dormiva poco; ma quel breve sonno era profondo. Al mattino si raccoglieva per un'oretta, poi diceva la messa, o nella cattedrale, o nel suo oratorio.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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