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      Eccezion fatta per questo, egli era, e si mantenne in ogni cosa, giusto, vero, equo, intelligente, umile e degno; era benefico e benevolo, il che è un'altra beneficenza. Era un prete, un saggio e un uomo. Bisogna pur dirlo, perfino in quell'opinione politica che gli abbiamo testé rimproverata e che siamo disposti a giudicare quasi severamente, era tollerante e corrivo, forse più di noi che stiamo parlando.
      Il portiere del municipio era stato messo a quel posto dall'imperatore. Era un vecchio sottufficiale della vecchia guardia, legionario d'Austerlitz, bonapartista come l'aquila; per cui, se capitava, sfuggivano a quel povero diavolo parole poco meditate, di quelle che la legge d'allora qualificava propositi sediziosi. Da quando il profilo imperiale era scomparso dalla legion d'onore, egli non si vestiva più d'ordinanza, come diceva, per non essere costretto a portare la croce; aveva tolto egli stesso, devotamente, l'effigie imperiale dalla croce che Napoleone gli aveva data e non aveva voluto metter nulla al suo posto: «Piuttosto morire,» diceva «che portare sul cuore i tre rospi!» E scherniva volentieri e ad alta voce Luigi XVIII:
      «Se ne vada in Prussia, colla sua barba da caprone,» diceva «quel vecchio gottoso dalle ghette all'inglese!» Ed era felice di riunire nella stessa imprecazione le due cose che detestava di più, la Prussia e l'Inghilterra. Tanto fece, che perdette il posto; ed eccolo senza pane, sul lastrico, colla moglie e i figli. Il vescovo lo mandò a chiamare, lo sgridò dolcemente e lo nominò guardiaportone della cattedrale.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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