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      Nella diocesi, monsignor Myriel era il vero pastore, l'amico di tutti. In nove anni, a forza d'opere sante e di maniere affabili, aveva riempito la città di Digne d'una specie di venerazione tenera e filiale; perfino la sua condotta verso Napoleone era stata accettata e come tacitamente perdonata dal popolo, buon gregge debole, che adorava il suo imperatore, ma amava il suo vescovo.
      XII • SOLITUDINE DI MONSIGNOR BIENVENUC'è quasi sempre, intorno ad un vescovo, una scorta d'abatini, come intorno ad un generale c'è uno stormo d'ufficialetti; sono quelli che l'affascinante San Francesco di Sales chiamava in qualche luogo «i preti sbarbatelli». Ogni carriera ha i suoi aspiranti, che fanno corteggio agli arrivati; e non v'è potenza che non abbia il suo seguito, come non v'è fortuna senza la sua corte. Gli arrivisti turbinano intorno allo splendido presente e, come ogni archidiocesi ha il proprio stato maggiore, così ogni vescovo un po' influente ha vicina a sé la propria pattuglia di cherubini seminaristi, che fa la ronda e mantiene il buon ordine nel palazzo episcopale, mentre monta la guardia intorno al sorriso del monsignore. Andar a genio a un vescovo, è già un piede nella staffa, per un suddiacono. Bisogna bene farsi la propria strada e l'apostolato non disdegna la prebenda.
      Come altrove i grossi papaveri, ci sono nella chiesa le grandi mitrie; sono i vescovi ben veduti, ricchi, ben pagati, abili, accetti al mondo, che sanno pregare, indubbiamente, ma sanno pure brigare, che si fanno poco scrupolo di far fare, proprio loro, anticamera a tutta una diocesi; punto di contatto fra la sagrestia e la diplomazia, piuttosto abati che preti, piuttosto prelati che vescovi.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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