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      Nell'edificio della stamperia c'era una scuola ed ella vi conduceva il figlioletto di sette anni; solo, siccome ella entrava nella stamperia alle sei e la scuola si apriva alle sette, bisognava che il fanciullo aspettasse nel cortile, per un'ora, l'apertura della scuola; e, d'inverno, era un'ora passata al buio, fuori. Non lo volevano lasciar entrare nella stamperia perché, dicevano, dava impiccio, e gli operai che passavano vedevano al mattino quel piccolo essere seduto sul lastricato, assonnato e spesso addormentato nell'ombra, raggomitolato e ripiegato sul suo canestro. Quando pioveva, una vecchia portinaia, mossa a pietà lo accoglieva nel suo bugigattolo, dove c'eran solo un lettuccio, un arcolaio e due sedie di legno; ed il piccino dormiva, in un cantuccio, stringendosi al petto il gatto, per aver meno freddo. Alle sette, la scuola s'apriva ed egli entrava. Ecco quel che dissero a Valjean; gliene parlarono un giorno e un istante, un lampo, quasi una finestra bruscamente aperta sul destino di quegli esseri che aveva amato; poi tutto si richiuse. Non ne intese parlare, mai più. Nulla che li riguardasse giunse più a lui; non li rivide, non li incontrò e noi, seguitando questa dolorosa storia, non li ritroveremo.
      Verso la fine del quarto anno, giunse il turno d'evasione di Jean Valjean; i suoi compagni l'aiutarono, come si usa in quel triste luogo, ed egli evase. Errò due giorni libero per i campi, se pure si chiama libertà l'essere inseguito, volgere la testa ad ogni istante, trasalire al minimo rumore e aver paura di tutto, del tetto che fuma, dell'uomo che passa, del cane che abbaia, del cavallo che galoppa, dell'ora che sta suonando, della notte, perché non ci si vede, del giorno perché ci si vede, della strada, del sentiero, del cespuglio, del sonno stesso.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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