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      Jean Valjean era entrato nella galera singhiozzando e fremendo, ne uscì impassibile; era entrato in preda alla disperazione, ne uscì cupo. Che era accaduto in quell'anima?
      VII • UNA PROFONDA DISPERAZIONECerchiamo di dirlo. Bisogna bene che la società tenga conto di queste cose, dal momento che essa le produce.
      Era un ignorante, abbiam detto; ma non uno stupido e la luce naturale splendeva in lui. La disgrazia, che ha anch'essa la sua luminosità, aumentò a poco a poco quella poca luce che v'era nel suo spirito; sotto il bastone, sotto la catena, nella cella, alla fatica, sotto l'ardente sole del carcere, sul letto di tavole del forzato egli si ripiegò nella sua coscienza e rifletté.
      Si costituì tribunale e incominciò col giudicare se stesso. Riconobbe di non essere un innocente ingiustamente punito e confessò a se stesso d'aver commesso un atto eccessivo e biasimevole; si disse che forse, quel pane non gli sarebbe stato negato se l'avesse chiesto e che in ogni caso sarebbe stato meglio aspettarlo o dalla compassione o dal lavoro, che non è per nulla una ragione a cui non si possa replicare il dire: Si può aspettare, quando si ha fame? e che del resto è rarissimo che si muoia letteralmente di fame e che l'uomo, poi, disgraziatamente o fortunatamente, è fatto in guisa, che può soffrire a lungo e molto, tanto dal lato morale che fisico, senza morire; che ci voleva pazienza, dunque, perché così sarebbe anche stato meglio per quei poveri piccini; che era un gesto di pazzia, per lui, povero meschinello, prendere violentemente pel collo la società intera e immaginarsi di uscire dalla miseria attraverso il furto; che, in ogni caso, era una brutta porta, per uscir dalla miseria, quella per cui si entra nell'infamia; e concluse, finalmente, che aveva torto.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Valjean