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      Fu come una scossa elettrica: «Che cos'è?» brontolò fra i denti. Indietreggiò di tre passi e si fermò senza staccare lo sguardo da quel punto che il suo piede premeva un momento prima, come se quella cosa che riluceva nell'oscurità fosse un occhio aperto a guardarlo.
      Dopo qualche minuto, si gettò convulsamente sulla moneta d'argento, l'afferrò e, rialzandosi, guardò lontano, nella pianura, volgendo gli occhi verso tutti i punti dell'orizzonte, ritto e fremente come una bestia selvatica spaurita in cerca di asilo.
      Non vide nulla. La notte scendeva, sulla pianura fredda e sconfinata grandi nubi violacee salivano nel bagliore crepuscolare.
      Fece: «Oh!» e si mise a camminare rapidamente nella direzione verso la quale era scomparso il fanciullo; fatti un centinaio di passi guardò, si fermò e non vide nulla. Allora, gridò con tutte le sue forze: «Gervasino, Gervasino
      Tacque e stette in attesa. Nulla rispondeva; la campagna era deserta e tetra. Era circondato dalla solitudine; intorno v'erano soltanto l'ombra in cui si perdeva il suo sguardo e il silenzio in cui si perdeva la sua voce.
      Soffiava una brezza gelata, che dava alle cose intorno un senso di morte. Alcuni arboscelli scuotevano le piccole braccia magre con furia incredibile; si sarebbe detto minacciassero e inseguissero qualcuno. Ricominciò a camminare, poi a correre; ogni tanto si fermava e con voce formidabile e desolata gridava in quella solitudine: «Gervasino, Gervasino
      Certo, se il fanciullo l'avesse sentito, avrebbe avuto paura e si sarebbe guardato bene dal farsi vedere; ma egli era certamente assai lontano.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Gervasino Gervasino