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      In quella disposizione di spirito, aveva incontrato Gervasino e gli aveva rubato quaranta soldi. Perché? Non avrebbe assolutamente saputo spiegarlo. Era forse un ultimo effetto, quasi un supremo sforzo dei cattivi pensieri portati via dal carcere, un avanzo d'impulso, un risultato di quella che nella statica si chiama forza acquisita? Proprio così e, forse, meno di questo; diciamolo semplicemente, non era stato lui a rubare, l'uomo, ma la bestia che, per abitudine e istinto, aveva messo il piede su quel denaro, mentre l'intelligenza si dibatteva in mezzo a tante nuove ed inaudite ossessioni. Allorché l'intelligenza si risvegliò e vide quell'azione del bruto, Valjean indietreggiò e mandò un grido di spavento. Poiché, fenomeno strano, possibile solo nella sua situazione, rubando il denaro a quel fanciullo, aveva commesso un'azione della quale non era già più capace.
      Comunque quest'ultima mala azione ebbe su lui effetto decisivo. Attraversò bruscamente quel caos che occupava la sua intelligenza e lo dissipò; mise da un lato le oscure latebre e dall'altro la luce ed agì nella sua anima, nello stato in cui era, come certi reattivi chimici sopra un miscuglio torbido, precipitando un elemento e chiarificandone un altro.
      Sul principio, prima d'esaminarsi e di riflettere, smarrito, come chi cerca di salvarsi, aveva tentato di ritrovare il fanciullo, per restituirgli il denaro; ma quando aveva riconosciuto l'inutilità e l'impossibilità della cosa, s'era disperato. Nel momento in cui aveva gridato: «Sono un miserabile!


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Gervasino Valjean