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      Le altre, meno timide, come abbiam detto, erano scollate, cosa che d'estate sotto il cappello a fiorami, dà una grazia birichina; eppure, a fianco di quelle ardite acconciature, il canezou della bionda Fantine, colle sue trasparenze, indiscrezioni e reticenze, che nasconde e mette in mostra nello stesso tempo, sembrava di un provocante pudore; tanto che la famosa corte d'amore, presieduta dalla viscontessa di Cette, dagli occhi verdi come il mare, avrebbe dato il premio della civetteria a quel canezou, concorrente in nome della castità. Talvolta il più ingenuo è il più sapiente.
      Pienotta di faccia e delicata di profilo, gli occhi d'un azzurro profondo, le palpebre morbide, i piedini arcuati, i polsi e le caviglie mirabilmente affusolati, la bianca pelle che lasciava scorgere qua e là le azzurrine arborescenze delle vene, le gote infantili e fresche ed il collo robusto delle Giunoni eginetiche, la nuca forte e flessibile, le spalle che parevano modellate da Coustou ed avevano nel centro una voluttuosa fossetta, ben visibile attraverso la mussola, d'un'allegria temperata dalla meditazione, scultorea e perfetta: così era Fantine. Sotto a quei poveri panni ed a quei nastri s'indovinava una statua, in quella statua un'anima.
      Fantine era bella, quasi senza saperlo. Quei pochi pensatori, misteriosi sacerdoti del bello, che confrontano in silenzio ogni cosa colla perfezione, avrebbero intravisto in quella povera operaia, attraverso la trasparenza della grazia parigina, l'antica sacra eufonìa. Quella figlia dell'ombra era di razza; bella sotto i due aspetti dello stile e del ritmo, lo stile, forma dell'ideale e il ritmo, che ne è il moto.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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