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      L'insegna della taverna era un'allusione ad uno dei suoi fatti d'arme ed era stata dipinta da lui in persona, perché egli sapeva fare un po' di tutto; male, però.
      Era il tempo in cui l'antico romanzo classico (dopo essere stato Clelia, era soltanto Lodoiska), sempre nobile, ma sempre più volgare, cadendo dalla signorina di Scudéry alla signora Barthélemy-Hadot e dalla signora di Lafayette alla signora Bournon-Malarne incendiava l'anima innamorata delle portinaie di Parigi e devastava un poco i dintorni. La Thénardier era per l'appunto abbastanza intelligente per leggere quella specie di libri e se ne nutriva, annegando in essi quel poco di cervello che aveva; ciò le aveva dato, finché era stata giovanissima e anche qualche tempo dopo, una specie d'atteggiamento pensieroso al fianco del marito, birbante d'una certa profondità d'ingegno, ruffiano letterato, sebbene ignorasse la grammatica, grossolano e fine allo stesso tempo, ma che, in materia di sentimentalismo, leggeva Pigault-Lebrun ed era «in tutto ciò che tocca il sesso», come diceva nel suo gergo, un babbeo corretto e di razza pura. Sua moglie aveva qualcosa come dodici o quindici anni meno di lui; più tardi, quando i capelli romanticamente prolissi incominciarono a farsi grigi, quando la Megera si sprigionò dalla Pamela, la Thénardier fu soltanto un cattivo donnone, che aveva assaporato romanzi idioti. Ora, le sciocchezze non si leggono impunemente; ne risultò che la figlia maggiore si chiamò Eponina; quanto alla minore, la poverina corse il rischio di chiamarsi Gulnara e dovette a non so quale felice diversione operata da un romanzo di Ducray Duminil la sorte di chiamarsi soltanto Azelma.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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