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      La suprema felicità della vita è la constatazione d'essere amato, e amato per se stesso; anzi diciamo meglio, malgrado se stesso: questa convinzione, il cieco l'ha. In quella miseria, essere servito vuol dire essere accarezzato. Gli manca forse qualcosa? No: aver l'amore significa non perdere la luce. E quale amore! Un amore interamente di virtù. Non v'è cecità dove esiste la certezza: l'anima cerca l'anima, brancolando, e la trova; e quell'anima trovata e sperimenta, è una donna. Sua è la mano che vi sorregge, la bocca che vi sfiora la fronte, il suo respiro che sentite tanto vicino a voi. Aver tutto da lei, dal culto alla compassione, non esserne mai lasciato, aver in vostro soccorso quella dolce debolezza, appoggiarvi su quel giunco incrollabile, toccar colle mani la provvidenza e poterla prender fra le braccia, palpabile Iddio: oh, quale rapimento! Il cuore, questo celeste fiore ignorato, s'apre ad uno sboccio misterioso, tanto che non si darebbe quell'ombra per tutta la luce. L'anima-angelo è lì, sempre lì; se s'allontana, lo fa per tornare; si cancella come il sogno e riappare come la realtà. Se si sente un tepore che s'avvicina, è lei. Si trabocca di serenità, d'allegrezza e d'estasi, si è simili ad uno splendore nella notte. E quelle piccole cure, quei nonnulla immensi in quel vuoto? I più ineffabili accenti della voce femminile sono usati a cullarvi e suppliscono per voi a tutto il mondo svanito: siete accarezzati coll'anima; non vedete nulla, ma vi sentite adorare.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Iddio