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      Si curvò come una quercia all'appressarsi d'un uragano, come un soldato all'appressarsi d'un assalto; sentì calargli sul capo ombre dense di folgori e lampi. Pur continuando ad ascoltare Javert, il suo primo pensiero fu d'andare, di correre e denunciarsi, di levar di prigione quel Champmathieu e di mettervisi egli stesso; fu una cosa dolorosa e straziante, come un'incisione nella carne viva. Ma poi passò, ed egli si disse: «Vedremo, vedremo!» Represse quel primo moto generoso e indietreggiò davanti all'eroismo.
      Certo, sarebbe stato bello che dopo le sante parole del vescovo, dopo tant'anni di pentimento e d'abnegazione, nel bel mezzo d'una penitenza mirabilmente incominciata, quell'uomo, anche in presenza d'una così terribile congiuntura, non avesse vacillato un istante ed avesse continuato a camminare collo stesso passo verso quel baratro aperto, in fondo al quale v'era il cielo; sarebbe stato bello, ma non fu così. Dobbiamo pur render conto delle cose che si compivano in quell'anima e possiam dire soltanto quello che v'era. Quel che vinse, in principio, fu l'istinto della conservazione; raccolse in fretta le sue idee, soffocò le sue emozioni, considerò la presenza di Javert un grande pericolo e rimandò qualsiasi risoluzione colla fermezza dello spavento, si stordì su quello che c'era da fare e riprese la calma, come un combattente raccoglie lo scudo.
      Per tutto il resto della giornata fu in quello stato: un turbine, all'interno, una profonda tranquillità, all'esterno. Prese solo quelle che si potrebbero chiamare «misure di precauzione». Tutto era ancora confuso, tutto s'urtava nel suo cervello, ed il turbamento che regnava in esso era tale, ch'egli non scorgeva distintamente la forma di nessuna idea; egli stesso non avrebbe potuto dir nulla di sé, se non che aveva ricevuto allora allora un gran colpo.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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