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      Che fare, gran Dio? Che fare?
      L'uragano dal quale era uscito così a stento si scatenò di nuovo in lui. Le sue idee ricominciarono a confondersi e presero quello stupore macchinale peculiare alla disperazione. Il nome di Romainville gli ritornava senza posa in mente, insieme coi due versi d'una canzone che aveva sentita un tempo, e andava pensando che Romainville è un boschetto vicino a Parigi, dove gli innamorati vanno a cogliere i lilla, nel mese d'aprile.
      Vacillava all'esterno come internamente e camminava come un bambino lasciato solo. In certi momenti, lottando contro la propria stanchezza, faceva sforzi per riafferrare la sua intelligenza e cercava di proporsi un'ultima volta, e definitivamente, il problema sul quale, in certo qual modo, era come caduto sfinito: bisognava denunciarsi? bisognava tacere? Non riusciva a vedere nulla distintamente; e gli incerti aspetti di tutti i ragionamenti abbozzati dalla sua fantasticheria oscillavano dileguando in fumo, uno dopo l'altro. Sentiva solo che, a qualunque partito s'appigliasse, qualcosa in lui stava per morire, di necessità e senza che gli fosse possibile sfuggirgli; che, tanto a destra quanto a sinistra, egli entrava in un sepolcro e che un'agonia cominciava, quella della sua felicità o della sua virtù.
      Ahimè! Tutte le sue indecisioni l'avevan ripreso e si trovava al principio.
      In tal modo quell'anima andava dibattendosi nell'angoscia. Mille ottocent'anni prima di quel disgraziato, l'essere misterioso in cui si riassumono tutte le santità e i dolori dell'umanità, aveva anch'egli, mentre gli olivi fremevano al vento selvaggio dell'infinito, allontanato a lungo colla mano lo spaventoso calice che gli appariva, grondante d'ombra e traboccante di tenebre, nelle profondità piene di stelle.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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