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      Valjean andò verso quel letto, sconnesse in un batter d'occhio il capezzale già molto sgangherato (cosa facile a muscoli come i suoi), impugnò fortemente la traversa principale ed osservò Javert. Javert indietreggiò verso la porta.
      Jean Valjean, colla sbarra di ferro in pugno, si diresse lentamente verso il letto di Fantine; quando vi fu giunto, si voltò e disse a Javert, con un fil di voce:
      «Non vi consiglio di disturbarmi in questo momento.»
      Javert tremava.
      Ebbe l'idea di chiamare la guardia; ma Valjean poteva approfittare di quei pochi minuti per evadere. Rimase, quindi, e, impugnò il bastone dalla parte sottile, s'appoggiò allo stipite della porta, senza abbandonare collo sguardo Jean Valjean.
      Questi appoggiò il gomito sul capezzale, la fronte sulle mani e restò a contemplare Fantine, immobile e distesa. Rimase così, assorto e muto, evidentemente senza più pensare a nulla della vita; non v'era sul suo volto e nel suo atteggiamento che un'inesprimibile compassione. Dopo alcuni istanti di quella meditazione, si chinò verso Fantine e le parlò a bassa voce.
      Che cosa le disse? Che poteva dire quel reprobo a quella morta? Che parole? Nessuno le ha intese, sulla terra; le udì, forse, la morta? Vi sono commoventi illusioni che, forse, sono realtà sublimi; e quel che è fuori dubbio, è che suor Simplicia, sola testimone di quanto accadeva, ha raccontato sovente che nel momento in cui Jean Valjean parlò all'orecchio di Fantine, ella vide distintamente spuntare un ineffabile sorriso su quelle labbra esangui e in quelle pupille spente, piene dello stupore della morte.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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