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      Per conto nostro, non lo crediamo. Cogliere allori e rubare le scarpe d'un morto, ci sembra cosa impossibile per la stessa mano.
      Certo è che, di solito, dopo i vincitori vengono i ladri; ma mettiamo il soldato, e soprattutto il soldato moderno, fuori causa. Ogni esercito ha un'appendice e in essa si trovano coloro che debbono essere accusati: sono esseri simili ai pipistrelli, per metà briganti e per metà domestici, tutte le specie di nottole generate da quel crepuscolo che si chiama la guerra, portatori d'uniforme che non combattono, falsi malati, temibili sciancati, cantinieri di contrabbando che trotterellano, talvolta colle loro donne, su una carretta e rubano quel che rivendono, mendicanti che si offrono come guide agli ufficiali portatori di bagagli e grassatori; tutta roba che gli eserciti d'un tempo (non parliamo d'oggi) si trascinavan dietro nella marcia. Nessun esercito e nessuna nazione erano responsabili di quegli esseri, parlavano italiano e seguivano i tedeschi, parlavano francese e seguivano gli inglesi. Fu uno di questi miserabili, un saccomanno spagnuolo che parlava francese, a trarre in agguato il marchese di Fervacques che, ingannato dalla sua parlata piccarda e prendendolo per uno dei nostri, fu ucciso a tradimento e derubato sul campo stesso, la notte che seguì la battaglia di Ceresole. Dalle scorrerie nasceva il predone; la detestabile massima di vivere sul nemico produceva questa lebbra, che solo una forte disciplina poteva guarire. Alcune celebrità ingannano, e non sempre si sa per quale motivo certi generali, grandi del resto, siano stati tanto popolari: Turenna era adorato dai suoi soldati perché tollerava il saccheggio.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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