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      Gli si permetta di parlare di quella Parigi, come se esistesse ancora. È possibile che là dove l'autore sta per condurre i lettori, dicendo: «In via tale c'è la tal casa», non siano più, oggidì, né la casa, né la via. Ai lettori la verifica, se vogliono darsene la briga; per quanto lo riguarda, egli ignora la Parigi nuova e scrive colla visione della antica davanti agli occhi, illusione che gli è preziosa. È dolce il fantasticare che rimanga dietro di lui qualche cosa di quello che vedeva quand'era nella sua patria e che non tutto sia svanito. Fin che si va e si viene nel paese natìo, si pensa che quelle strade ci siano indifferenti, che quelle finestre, quei tetti e quelle porte non sian nulla per noi, quei muri ci siano estranei, quegli alberi siano i primi alberi venuti, che quelle case in cui non entriamo siano inutili a noi e quei selciati su cui camminiamo non siano altro che pietre; più tardi, quando non siamo più presenti, ci accorgiamo che quelle vie ci sono care, quei tetti, quelle finestre e quelle porte ci mancano, che quei muri ci sono necessarî, quegli alberi sono i nostri prediletti, che in quelle case in cui non entravamo mai, entravamo invece ogni giorno, e che abbiamo lasciato le nostre viscere, il nostro sangue e il nostro cuore in quei selciati. Tutti quei luoghi che più non vediamo e non vedremo forse mai più e dei quali abbiamo serbato l'immagine, assumono un fascino doloroso, ci ritornano al pensiero colla malinconia d'un'apparizione, ci rendono visibile la terra santa e sono, per così dire, la forma stessa della Francia: e noi li amiamo e li invochiamo così come sono, com'erano, e ci ostiniamo a non volerne nulla cangiare, poiché teniamo al volto della patria quanto a quello di nostra madre.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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