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      Fu un istante spaventoso. Pochi minuti separavano Jean Valjean da quel terribile precipizio che gli si apriva dinanzi per la terza volta; e il carcere, stavolta, non era più soltanto il carcere, ma Cosette perduta per sempre, vale a dire una vita che assomigliava all'interno d'una tomba.
      V'era ormai una sola cosa possibile.
      Valjean aveva questo di particolare: che, cioè, si sarebbe potuto dire portasse due bisacce, nell'una delle quali teneva i pensieri d'un santo, nell'altra celava i temibili istinti d'un forzato. Secondo l'occasione, egli frugava nell'una o nell'altra.
      Fra le altre possibilità, grazie alle sue numerose evasioni dal bagno di Tolone, egli era, come ci si ricorderà, diventato maestro in quell'arte incredibile di sollevarsi senza scala e senza appigli, colla sola forza muscolare e appoggiandosi colla nuca, colle spalle, colle anche e colle ginocchia, aiutandosi appena coi pochi rilievi delle pietre, lungo la parete d'un muro, magari fino all'altezza d'un sesto piano: arte che ha reso così spaventoso e così celebre l'angolo della corte della Conciergerie di Parigi, donde evase, una ventina d'anni or sono, il condannato Battemolle.
      Valjean misurò collo sguardo il muro al disopra del quale scorgeva il tiglio. Esso aveva circa diciotto piedi d'altezza e la rientranza che faceva col fianco dell'edificio era colmata nella sua parte inferiore da un blocco triangolare di muratura, probabilmente destinato a proteggere un troppo comodo recesso dalle soste di quegli stercorari che sono i passanti; quel riempimento preventivo degli angoli dei muri è molto in uso a Parigi.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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