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      IV • FANCIULLAGGINICiò non toglie che quelle giovinette abbiano riempito quella casa severa di ricordi graziosi.
      In certe ore, l'infanzia sfolgorava in quel chiostro. Suonava la ricreazione, una porta girava sui cardini; gli uccelletti dicevano: «Bene! Ecco le bambine!» e un'irruzione di giovinezza inondava quel giardino, attraversato da una croce come un lenzuolo. Visi radiosi, fronti candide, occhi ingenui pieni di gioconda luce, tutte le aurore si diffondevano in quelle tenebre. Dopo le salmodìe, le campane, le campanelle, i rintocchi funebri e gli uffizi, scoppiava all'improvviso quel brusìo di giovinette, più dolce di quello delle api; s'apriva l'alveare della gioia e ciascuna apportava il suo miele. Giocavano, si chiamavano, si rincorrevano, si raggruppavano; graziosi dentini candidi apparivano in ogni canto; che importava se, da lontano, i veli sorvegliavano quelle risate, le ombre spiavano quei raggi di luce? Esse raggiavano e ridevano. Quei quattro muri lugubri avevano il loro istante di fulgore e assistevano, vagamente imbiancati dal riflesso di tanta allegria, al dolce turbinìo di quello sciame. Era come una pioggia di rose, attraverso quel lutto. Le fanciulle folleggiavano sotto gli occhi delle suore; poiché lo sguardo dell'impeccabilità non mette in imbarazzo l'innocenza. In grazia di quelle giovanette, fra tante ore austere v'era l'ora ingenua: le piccole saltavano e le grandi ballavano. In quel chiostro, il gioco aveva alcunché di celestiale. Nulla d'incantevole ed augusto come quelle fresche anime che si aprivano; Omero si sarebbe recato là a ridere con Perrault.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Omero Perrault